Modellando un impasto molle – terra ricca di argilla mischiata con l’acqua – che, una volta cotto, diventa duro, si ottiene la terracotta: materiale naturale che rivela, da sempre, il potere alchemico dell’uomo di sapere trasformare una sostanza organica, da uno stato fisico all’altro. Utilizzata fin dall'antichità per produrre vasellame, spesso è stata prediletta dagli artisti per realizzare ugualmente opere d’arte. Attualmente è anche il mezzo di espressione privilegiato della scultrice romana Anna Maria Angelucci. L’artista, che da circa un decennio manipola la creta, ha optato per questa sostanza duttile – che meglio del marmo, riesce a tradurre la fluidità dei pensieri che vagano nell’Iperuranio - soprattutto per lo stretto legame che essa mantiene con la terra – la Grande madre, da cui hanno origine tutte le cose - essendo argilla, la sua materia di base. «Mi piace che la figura abbia corpo, presenza, che dica: ‘Nasco dalla terra, appartengo alla realtà’ e, contemporaneamente, sussurri: ‘Sento, mi emoziono, mi abbandono, sogno’…». La percezione della realtà, che avviene attraverso i sensi, è il cuore della ricerca che governa questi lavori - 12 prototipi in terracotta patinati a freddo – denominati “Corpi sensibili” dalla stessa artista volendo dare risalto al ruolo fondamentale che svolgono i canali sensoriali quale medium tra il mondo sensibile e la mente umana. Non a caso “soggetti” privilegiati di questo gruppo di sculture sono le mani - strumento nobile attraverso cui l’uomo esprime la sua creatività – e la testa, la sede dei pensieri (rappresentati spesso da piccoli omini che si vedono qua e là sulle sue sculture) dove risiedono gli organi di senso. Precisamente, più che delle sculture, le sue sono creature vive – fatte in fondo della stessa materia dei sogni – che amano, pensano, sentono, sfruttano al meglio la facoltà di provare sensazioni, impressioni, intuizioni - ciò "che viene dal senso" diceva Hegel - facendo esperienza nel realtà concreta attraverso il corpo fisico che solo l’uomo, in quanto animale cosciente di sé, possiede. Indugia per questo sulla figura umana, che rappresenta, tuttavia, senza intenti realistici: uomini e donne, colti in momenti particolari – mentre, dormendo o in una sorta di stato di trance, scoprono se stessi – volendo evocare una dimensione che va oltre le apparenze, quella “psiche”, che per gli antichi era sinonimo di anima. Quasi tutte le sue figure – maschi e femmine - hanno per questo gli occhi socchiusi, solo una, però “Ti vedo” ce li ha ben aperti, quasi sbarrati, come quelli di qualcuno che, per la prima volta, vede il mondo e si stupisce della sua bellezza. E’ quanto accaduto in fondo a questa giovane artista – non nel senso di età anagrafica – che si è appena svegliata. Infatti, questo inedito ciclo di lavori – realizzati tra il 2009 e il 2012 - pur avendo qualche affinità con la serie I cinque sensi - dipinta agli esordi della sua carriera – vede la luce durante una fase particolare della esistenza, in cui questa “pensatrice” è nata una seconda volta. Proprio per questo, rispetto alle sue sculture precedenti – immagini statiche di busti femminili –il ciclo esprime un modo diverso dell’artista di rapportarsi con la vita, ora goduta e apprezzata nella sua pienezza, più consapevolezza sia della propria forza, sia della propria identità di donna e d’artista. Determinazione, sicurezza, che si traduce anche in un linguaggio più chiaro e robusto, dominato dalla fluidità delle forme e dalla morbidezza delle superfici, sintesi anche del suo bagaglio artistico, oltre che della sua filosofia di vita. Nelle sue seducenti sculture, appunto, si fondono insieme diversi stilemi – scultura arcaica, classica, impressionistica – come quando l’artista prende l’acqua e l’argilla, e poi mischia, le due sostanze insieme, per realizzare un’unica immagine di senso compiuto. Anche se per “compiuto” Anna Maria intende qualcosa che non ha niente a che vedere con il concetto concluso, portato a termine. «Ora mi piace di più lavorare di getto e far si che si noti questa immediatezza come se il pezzo fosse ancora da finire o “fosse infinito”. Per questo riservo particolare attenzione alla finitura delle superficie della terracotta che tratto stendendoci sopra uno strato velato di bianco, che accentua il gioco di luci e d’ombre, facendo trasparire il colore rosato della terracotta simile alla pelle». Sculture, fortemente monumentali, pur nelle loro dimensioni ridotte, apparentemente sospese in un limbo, in attesa di essere tradotte in opere di grandi dimensioni. Osservandole, si comincia a immaginare come sarebbero in mezzo a una piazza o tra il verde di un giardino.